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Tutti all'antidoping

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Il doping è un cancro dello sport, i controlli antidoping una sorta di TAC salvifica. Una cosa seria, quindi. Ma anche un rituale scocciante per gli atleti, stretti in un corsetto rigido, che gli impone una reperibilità tra le 6 e le 23. Ogni giorno, in ogni parte del globo.

Sebbene ai suoi tempi non esistevano questo genere di controlli, D’Artagnan comprende la reazione spazientita di Lara Gut, protagonista recentemente di due visite nello spazio di poche ore – la prima alle 21:58 e la seconda l’indomani alle 8 –, e le perdona il tweet sarcastico: «Wow... La prossima volta fatemi sapere se volete anche venire a letto con me.» D’Artagnan avrebbe assecondato i controllori fino alla consegna del campione per poi metterli alla porta a suon di sciabolate.

Ma un trattamento ben peggiore lo avrebbe riservato agli addetti dell’antidoping dei Giochi olimpici di Rio, rei di lacune che hanno dell’inverosimile: centinaia di campioni impossibili da attribuire agli atleti per errori di registrazione nel sistema informatico, pochi esami ematici eseguiti in discipline a rischio come il sollevamento pesi. Su 11 470 atleti olimpici, 4 125 non sono stati sottoposti ad alcun controllo. Una catastrofe.

A questo punto, D’Artagnan propone il loro licenziamento e si propone come loro sostituto ai prossimi giochi olimpici invernali. Con la promessa di controllare tutti gli atleti, compreso la nostra Lara, nella speranza di carpirle un nuovo tweet: «Wow… finalmente uno sport pulito. Grazie D’Artagnan per le tue visite. Vieni quando vuoi.»

1 Dicembre 2016

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