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Manuele Bertoli

Manuele Bertoli

Arriva in libreria «L’arbitro arcobaleno», edizioni Fontana, che parla di omofobia ed esclusione nel mondo dello sport ticinese. Come valuta questa operazione?
È sensata. Purtroppo lo sport è ambivalente. Da una parte veicola messaggi estremamente positivi, e promuove sia l’attività fisica, sia la socializzazione. Dall’altra, soprattutto quando è spinto all’esasperazione, può portare a una deriva. E l’omofobia è solo una delle tante possibili conseguenze.

 

Esiste l’omofobia nello sport ticinese?
Penso che sia un’ipotesi molto realistica. Soprattutto in discipline ritenute virili come il calcio e l’hockey. Un libro come questo ha il pregio di stimolare un dibattito a 360 gradi. Perché la discriminazione non si ferma solo al machismo e all’omofobia. Avete in mente il calciatore Valon Behrami, appena dopo l’eliminazione della Svizzera a Euro 2016? Si è presentato ai microfoni in lacrime, dicendo che lui a quella maglia ci tiene. E facendoci capire che nella sua carriera ha vissuto un’infinità di pregiudizi. Io sogno uno sport che promuova la partecipazione di tutti e non l’esclusione.

 

Quali altri problemi dovrebbero essere vinti?
In alcuni contesti si continua a umiliare i deboli, andando al di là della normale selezione dei più bravi. Questo, in particolare nello sport giovanile, non dovrebbe mai accadere. Inoltre, in un ambiente portatore di valori positivi, le battute a sfondo discriminatorio sono fuori luogo. In molti sport le cose vanno bene, ma per alcune discipline bisognerebbe fare una riflessione più approfondita.

 

Intervista di Patrick Mancini pubblicata su Cooperazione, 06.09.206

 

15 Settembre 2016

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