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Giù le mani dall'allenatore

Andrea Manzo

Esonerare un allenatore non porta alcun beneficio sulle prestazioni della squadra. Lo dicono i numeri, le statistiche, ricerche scientifiche internazionali. Ma allora perché così tanti presidenti – anche di blasonati club – ricorrono di frequente a questo costoso stratagemma se non è efficace? La spiegazione più plausibile si rifà al principio del “senso comune”: un allenatore è il principale responsabile dei risultati scadenti di una squadra. Il suo allontanamento ha lo scopo di dare un effetto positivo alla prestazione, di portare idee nuove e di evitare gli errori commessi dal predecessore. La realtà dei fatti dimostra che solo in pochi casi i risultati migliorano nel brevissimo termine; dopo poche partite ritornano al loro corso naturale, giusto in tempo per giustificare l’ipotesi del senso comune. Tutti gli studi sono d’accordo nel quantificare in nullo il contributo di un esonero e confermano il “rito del capro espiatorio”: l’allontanamento di un allenatore serve solo per placare l’animo dei tifosi o la pressione dei media o l’ansia del presidente. In molti casi, si rileva persino un peggioramento dei risultati che conferma l’ipotesi del “circolo vizioso”: nonostante l’esonero, la squadra continua a fare male, perché il problema permane ed è alimentato dalla confusione all’interno delle relazioni societarie.

E cosa consiglia D’Artagnan ai presidenti di club? Innanzitutto di farsi guidare dai numeri e dalle esperienze dei colleghi che hanno già vissuto esoneri sbagliati e inutili. Una cultura della dirigenza può solo aiutare a veicolare un’immagine più umana dello sport, un ambito che sa ancora imparare dagli errori.

25 Dicembre 2016

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